|   | 
      Dal 
        28 maggio al 28 agosto 2005, nelle due sedi di Palazzo Magnani a Reggio 
        Emilia e di Palazzo Bentivoglio a Gualtieri (RE), si terrà la più 
        vasta e importante mostra antologica, mai realizzata, dedicata ad Antonio 
        Ligabue, nel quarantesimo anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 
        27 maggio 1965.  
        Promossa dalla Provincia di Reggio Emilia e dal Comune di Gualtieri, con 
        il contributo degli sponsor istituzionali, Fondazione Pietro Manodori 
        e CCPL Reggio Emilia, l'esposizione propone, in Palazzo Magnani, una scelta 
        di cento dipinti, tra cui molti di grandi dimensioni, e a Palazzo Bentivoglio, 
        a Gualtieri (RE), un'ampia selezione di opere su carta, tra cui trenta 
        disegni e incisioni originali - nella tiratura firmata dall'artista - 
        oltre a più di cinquanta terrecotte, che documentano in modo esaustivo 
        tutto il percorso creativo dell'artista emiliano. 
        Curata da Sergio Negri e Sandro Parmiggiani, la mostra sottolineerà 
        il grande valore di Ligabue nell'àmbito dell'arte italiana ed europea, 
        al di là della fuorviante definizione di "naïf" 
        che l'ha troppo a lungo accompagnato e ne ha mortificato la comprensione, 
        e lo collocherà tra gli esponenti più significativi di quel 
        filone "primitivo" ed espressionista, che continuamente è 
        riaffiorato - anche nei decenni recenti - nell'esperienza artistica internazionale. 
        Quest'importante appuntamento costituirà, anche sulla base della 
        qualità delle opere presentate, un punto fermo nella valutazione 
        critica e nella comprensione dell'artista. 
      Di Ligabue, 
        nato il 18 dicembre 1899 a Zurigo, è ormai nota la triste odissea 
        esistenziale che segnò profondamente il suo lavoro. Dopo un'infanzia 
        difficile e tormentata, e la morte nel 1913 della madre naturale, operaia 
        italiana immigrata - il padre restò ignoto -, fu affidato a un 
        istituto rieducativo di Marbach e successivamente, nel 1917, a soli diciotto 
        anni, fu ricoverato nel manicomio di Pfäfers. Espulso dalla Svizzera 
        per la sua vita turbolenta, Antonio Ligabue arriva nell'agosto 1919 a 
        Gualtieri, paese d'origine dell'uomo, Bonfiglio Laccabue, che la madre, 
        Elisabetta Costa, aveva sposato nel 1901. L'impatto con il nuovo ambiente 
        si rivela da subito triste e doloroso. I primi dipinti di Ligabue - che 
        aveva dimostrato, sia a San Gallo che a Reggio Emilia, un grande interesse 
        per i musei di scienze naturali e per gli animali in genere - risalgono 
        alla fine degli anni Venti: sono gli anni in cui Ligabue incontra a Gualtieri 
        Marino Mazzacurati. 
        La difficile e tormentata vita di Ligabue, segnata da ostilità 
        e incomprensioni, e da ricoveri all'Istituto Psichiatrico San Lazzaro 
        di Reggio Emilia e al Ricovero di mendicità di Gualtieri, è 
        tutta dedicata, fino alla morte, alla pittura e alla scultura, nonostante 
        le diffuse derisioni e i mancati riconoscimenti. 
        Dopo la personale d'esordio di Ligabue - che ebbe luogo nel 1956 a Gonzaga 
        (Mantova), con un testo in catalogo di Cesare Parmiggiani -, varie esposizioni, 
        a partire da quella di Gualtieri nel decennale della morte, hanno presentato, 
        con crescente interesse del pubblico, l'opera dell'artista. 
        L'esposizione sarà accompagnata da un ampio catalogo (ed. Skira) 
        di oltre 300 pagine 
        ANTONIO 
        LIGABUE 
        Una biografia  
      La triste odissea 
        di Antonio Ligabue (il cui vero cognome era Laccabue) ha inizio il 18 
        dicembre 1899 a Zurigo in Svizzera, una vicenda umana segnata da disgrazie, 
        sradicamenti, solitudine, fame e miseria. Nonostante la nascita in territorio 
        elvetico, le sue origini erano profondamente legate all’Italia. 
        Antonio Ligabue nasce alle 21.40 del 18 dicembre 1899 nell’Ospedale 
        delle donne di Zurigo e viene registrato col cognome della madre, Elisabetta 
        Costa, che aveva all’epoca 28 anni, essendo nata il 6 novembre 1861, 
        ed abitava a Frauenfeld, nel cantone di Turgau, dove faceva l’operaia. 
        Elisabetta ben presto conosce un altro emigrante italiano, Bonfiglio Laccabue, 
        nativo del Comune di Gualtieri (Reggio Emilia); i due si sposarono il 
        18 gennaio 1901, e il 10 marzo dello stesso anno Bonfiglio legittima il 
        piccolo Antonio dandogli così il proprio cognome e rendendolo cittadino 
        di Gualtieri. La piccola famiglia inizia a pellegrinare per la Svizzera 
        tedesca in cerca di lavoro e di un minimo di benessere. Dal matrimonio 
        nascono altri figli (nel 1901 Bonfiglio, nel 1902 Amedeo, nel 1905 Ottone, 
        che muore poco dopo per un’infiammazione bronchiale, nel 1907 Maria 
        Elisabetta). 
        Tuttavia, Antonio non era diventato, con il riconoscimento di Bonfiglio 
        Laccabue, membro di una vera famiglia, se si pensa che, a soli nove mesi 
        di età, nel settembre del 1900, era stato affidato a un coppia 
        svizzero-tedesca. Le due famiglie – quella naturale e quella di 
        adozione – erano unite da un medesimo destino di emigrazione, di 
        precarietà, di indigenza, di povere case e osterie fumose. Il nuovo 
        patrigno Johannes Valentin Göbel era un immigrato tedesco, faceva 
        il carpentiere, era di religione cattolica e il 10 settembre 1883 aveva 
        sposato Elise Hanselmann (nata nel 1857), una svizzera evangelica: due 
        persone anziane, senza figli che si occuparono del piccolo Antonio senza 
        però legittimarlo. Le ristrettezze economiche nelle quali viveva 
        la famiglia Göbel non furono senza conseguenze sul bambino, colpito 
        da rachitismo e carenza vitaminica che gli causarono fin dall'infanzia 
        un blocco dello sviluppo fisico – di qui, quell’aspetto sgraziato 
        che conosciamo attraverso le sue fotografie da adulto. Anche i Göbel 
        si spostavano frequentemente all’interno della Svizzera. Nel 1910 
        erano a Tablat, comune del circondario di San Gallo. 
        Antonio non rivedrà più la madre naturale, morta assieme 
        ai tre figli, per un’intossicazione alimentare dopo avere mangiato 
        carne avariata e resterà legato alla matrigna da un rapporto di 
        “amore-odio” che lo accompagnerà tutta la vita. Un 
        sentimento, eccessivo e morboso, che lo porterà a un’introversa, 
        totale solitudine e a manifestazioni di violenza, aggressività 
        e ribellione, tanto da indurre la signora Göbel a prendere provvedimenti 
        drastici, quali il suo allontanamento per punizione, nella speranza di 
        correggerne gli eccessi.  
        Il piccolo Antonio mostra segni di insofferenza verso il mondo; impara 
        ben presto a costruirsi barriere che lo proteggano emotivamente dalle 
        durezze della vita; ama più gli animali che i suoi simili, sentimento 
        che si accentuerà nel tempo, soprattutto dopo il nuovo sradicamento 
        del 1919. Anche la carriera scolastica di Antonio è segnata dalla 
        emarginazione e da un senso di fallimento: alle elementari il maestro 
        lo dichiara “duro di comprendonio” e lo fa inserire in una 
        classe differenziale; nel 1912 viene affidato a un istituto “per 
        ragazzi deficienti” a Tablat; il 17 maggio 1913 viene trasferito 
        nell’Istituto di Marbach, diretto dal prete evangelico Norman Graf, 
        che in seguito definirà Ligabue “immorale”, perché 
        dice parolacce e bestemmia.  
        Antonio, malato e di aspetto gracile, non fa in tempo ad abituarsi a una 
        situazione che già si trova catapultato dentro un’altra. 
         
        A Marbach impara a leggere abbastanza speditamente, anche se è 
        carente nell’ortografia e insufficiente nella matematica. Unica 
        nota positiva è il bisogno costante di disegnare – è 
        lo stesso direttore Graf a raccontare che il disegno serve a Ligabue per 
        calmarsi dopo una crisi nervosa. Tuttavia, l’Istituto di Marbach 
        non si rivela un definitivo approdo di serenità: nel 1915 Antonio 
        viene espulso per cattiva condotta e scostumatezza. Torna a casa dalla 
        famiglia di adozione a Staad e vi rimane dal maggio 1915 all’aprile 
        del 1917: fa il contadino, ma abbandona il lavoro dopo aver assistito 
        all’uccisione di una capra. È in questo periodo di vita errabonda 
        che Antonio può vedere opere dei pittori svizzeri, artisti che 
        provenivano dal mondo dei venditori ambulanti e dei girovaghi. Dal 12 
        gennaio al 4 aprile 1917 viene ricoverato per la prima volta in una clinica 
        psichiatrica. In seguito, rientrerà in famiglia, ma questa situazione 
        dura poco, perché da quel momento fino al 1919 Antonio vagabonda 
        nei dintorni, facendo il contadino e il garzone. È in questo periodo 
        che Ligabue frequenta i musei di San Gallo – il Kunstmuseum, che 
        raccoglie opere pittoriche e scultoree del XIX e XX secolo; il museo storico 
        della città, dove rimane impressionato dai cadaveri di uomini morti 
        per malattie veneree, copie in cera a grandezza naturale. Nel giugno 1918 
        viene sottoposto alla visita militare al Consolato italiano di Zurigo 
        e dichiarato riformato.  
        L’episodio più drammatico della sua vita in Svizzera, l’emblema 
        della sua perenne separazione dagli altri, avviene il 15 maggio 1919, 
        quando è espulso dalla Confederazione Elvetica su denuncia della 
        madre adottiva. La donna si era recata al Municipio di Romanshorn per 
        lamentarsi di lui, senza rendersi conto delle conseguenze che il suo gesto 
        avrebbe prodotto su quello che veniva ormai considerato solo un cittadino 
        italiano indesiderato, per di più in un momento di crisi economica 
        che colpiva anche la Svizzera dopo la prima guerra mondiale, nonostante 
        la neutralità mantenuta durante il conflitto. 
        Antonio Laccabue viene fatto partire da Zurigo il 23 maggio 1919; il 2 
        giugno viene condotto da Chiasso alla Questura di Como. Il prefetto della 
        città inizia le pratiche per inviare Ligabue a Gualtieri di Reggio 
        Emilia, comune d’origine di Bonfiglio Laccabue, che l’aveva 
        legittimato, e alla cui anagrafe risulta iscritto. Il 9 agosto 1919, scortato 
        dai carabinieri come un malavitoso, entra a Gualtieri. Nel 1955-1956 Antonio 
        dedicherà un dipinto, Ligabue arrestato, a questo suo ingresso 
        nella comunità di Gualtieri, ritraendosi ammanettato su di una 
        carrozza a fianco di due carabinieri con il pennacchio. 
        Il Municipio di Gualtieri gli assegna un letto al Ricovero di mendicità 
        Carri, una modesta sovvenzione in denaro e la possibilità di lavorare 
        come “scarriolante” alla costruzione degli argini del Po o 
        presso qualche contadino della zona.  
        Con il disagio di un uomo che si esprime solo in svizzero-tedesco, e la 
        perenne nostalgia della sua terra, Ligabue viene catapultato in un piccolo 
        centro agricolo della Bassa reggiana, sulla riva del Po – lui che 
        di italiano non aveva altro che il nome, si trova ad essere “straniero 
        in terra straniera”. Non sorprende che nel settembre del 1919 fugga 
        da Gualtieri e tenti di rientrare clandestinamente in Svizzera; fermato 
        a Lodi, viene consegnato al Questore di Milano. Deve fare ritorno a Gualtieri, 
        dove vive con un sussidio del Comune, di quello che gli invia la matrigna 
        svizzera e della carità dei compaesani. Nonostante i ripetuti tentativi 
        suoi e della madre adottiva, non riuscirà più a ritornare 
        in Svizzera. Il ricordo dei luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza 
        resteranno in lui indelebili, come documentano tanti dipinti. Dal 1925 
        ogni rapporto epistolare con la madre verrà definitivamente a cessare. 
         
        Fino al 1929 Ligabue lavora dunque saltuariamente come “scarriolante”, 
        bracciante agricolo giornaliero, alla costruzione di una strada che unisce 
        Gualtieri agli argini del Po. Certamente già disegna e forse scolpisce. 
        Durante l’inverno 1928-1929 vive come un selvaggio nei boschi e 
        nelle golene del Po, in particolare in un casotto pressoché nascosto 
        dalla vegetazione; qui viene scoperto da Marino Renato Mazzacurati, uno 
        dei fondatori della Scuola Romana, che gli insegnerà l’uso 
        dei colori a olio. Nel 1932 viene ospitato dal flautista Licinio Ferretti, 
        artista a livello internazionale e collezionista di opere d’arte 
        contemporanea. Ormai Ligabue vive solo di pittura, inizia a realizzare 
        le sue sculture di terracotta – anch’esse espressione del 
        suo amore per gli animali, soprattutto i conigli, che alleverà 
        amorosamente per tutta la vita, spesso destinando loro le sue scarse disponibilità 
        economiche. Non si può dire che abbia una stabile dimora, alternando 
        case di amici ospitali, stalle e baracche del Po, il Ricovero di mendicità 
        Carri.  
        Il 14 luglio 1937 Ligabue viene internato al Istituto psichiatrico San 
        Lazzaro di Reggio Emilia, da cui sarà dimesso il 3 dicembre 1937. 
        Il 23 marzo 1940 si verifica il secondo ricovero al San Lazzaro, da cui 
        potrà uscire solo il 16 maggio 1941, quando il pittore e scultore 
        Andrea Mozzali, suo fraterno amico, si assumerà la responsabilità 
        di garantire per lui e di ospitarlo nella propria casa di Guastalla. Risale 
        a questo stesso anno l’interesse di Luigi Bartolini, artista, scrittore 
        e critico d’arte, per l’opera di Ligabue: si legga il testo 
        Osservazioni intorno alla pittura di Ligabue, pubblicato in “Documento 
        Arte”, e in parte riproposto nell’“Antologia critica” 
        di questo catalogo. 
        Durante la guerra Ligabue fa talvolta da interprete alle truppe tedesche. 
        Il 13 febbraio 1945 l’artista subisce il terzo e ultimo ricovero 
        all’Istituto psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia. L’origine 
        dell’internamento, che peraltro gli evita ben peggiori conseguenze, 
        dati i tempi, va fatta risalire a una violenta lite in un’osteria 
        di Gualtieri, quando, nel corso di un’accesa discussione, rompe 
        una bottiglia di vino in testa a un soldato tedesco. Sarà, questo, 
        il soggiorno più lungo di Ligabue in manicomio: verrà dimesso 
        solo nell’ottobre 1948. Nel periodo di ricovero Antonio dipinge; 
        la stampa e la critica cominciano a interessarsi alla sua opera. Tra chi 
        si reca a visitarlo c’è Romolo Valli, all’epoca giornalista 
        e non ancora attore, che ricorderà, anni dopo, in un filmato della 
        Rai, Io e.., questo incontro. Il Municipio di Gualtieri, constatando che 
        “il Laccabue non ha nel Comune alcun modo di sistemazione, perché 
        non ha parenti tenuti agli alimenti per poterlo ospitare, né ha 
        una propria abitazione, né si è mai dimostrato in passato 
        in condizioni fisiche normali da attendere alle proprie occupazioni”, 
        decide di “ricoverare presso il locale Mendicicomio il povero infermo 
        Laccabue Antonio di Bonfiglio”, assumendone le spese “di mantenimento” 
        – sarà l’Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia, 
        viste le difficoltà del Comune, a farsi carico della retta fino 
        al 1961. 
        Ligabue si dedica sia alla pittura che alla scultura – esperienza 
        che abbandonerà pressoché definitivamente alla fine del 
        1954 –, per riservare tutto il suo impegno alla realizzazione di 
        dipinti, anche di grandi dimensioni, nei quali si riflette apertamente 
        la sua idea della vita come perenne battaglia, lotta senza tregua, nella 
        quale s’aprono talvolta finestre di idillio e di serenità. 
        Particolarmente significativi sono, da questo punto di vista, gli autoritratti, 
        impietoso specchio di un’esclusione patita nelle proprie carni e 
        di un malessere profondo. A partire dagli anni Cinquanta, Ligabue si dedica 
        anche all’acquaforte e alla puntasecca - inciderà, in totale, 
        più di ottanta lastre. Nel settembre 1955, nel corso della Fiera 
        Millenaria di Gonzaga (Mantova), viene allestita la prima mostra personale 
        di Antonio Ligabue. L’anno dopo partecipa al Premio Suzzara. Nel 
        febbraio 1961 tiene una importante esposizione personale alla Galleria 
        “La Barcaccia” di Roma, che ne segna in un qualche modo la 
        definitiva consacrazione, dopo un’intensa attività artistica, 
        spesso oscura se non incompresa e derisa, che comunque aveva nel tempo 
        attirato scrittori, giornalisti e qualche attento critico. Ligabue può 
        finalmente uscire dalla povertà e dalle ristrettezze economiche 
        in cui aveva sempre vissuto: amplia la sua collezione di Moto Guzzi rosse, 
        la passione della sua vita, possiede un’automobile e dispone di 
        un autista.  
        Nel novembre 1962 Guastalla gli dedica la prima mostra antologica.  
        Il 18 novembre 1962 viene colpito, nella parte destra del corpo, da emiparesi 
        per vasculopatia cerebrale, e resta menomato nel fisico e nella mente. 
        Dopo ricoveri all’Ospedale di Guastalla e alla Clinica neurologica 
        Villa Marchi di Reggio Emilia, viene definitivamente ricoverato al Mendicicomio 
        Carri di Gualtieri, sempre a spese del Municipio.  
        Il 18 giugno 1963 viene battezzato; il 24 luglio gli viene amministrata 
        la Cresima. All’imbrunire del 27 maggio 1965 la triste vita di Antonio 
        Laccabue si conclude al Ricovero Carri di Gualtieri. Andrea Mozzali realizza 
        la sua maschera funebre, che, dopo il funerale avvenuto il 30 maggio, 
        viene deposta sulla tomba dell’artista nel cimitero di Gualtieri. 
         
        A Reggio Emilia si è aperta da poco una sua mostra antologica; 
        sarà soprattutto la grande esposizione che il Comune di Gualtieri 
        gli dedica nel 1975, a dieci anni dalla morte, in Palazzo Bentivoglio, 
        a sancire definitivamente il valore di Antonio Ligabue.  |