| Dov'è 
            finita Colomba? Di lei non restano che la bicicletta abbandonata e 
            i misteri di un bosco abruzzese.  
             Nessuno ormai crede più che Colomba 
              sia ancora viva, solo sua nonna Zà è certa di poterla 
              ritrovare e per questo ogni mattina, in sella alla sua bicicletta, 
              passa al setaccio i boschi delle montagne abruzzesi. E' sparita 
              da un anno Colomba e ogni ricerca è stata inutile. Il mistero 
              cresce, aleggia anche il sospetto di un delitto. Si tratta di un 
              rapimento o solo di una fuga? 
              Anche la storia della famiglia di Zà è un percorso 
              a ostacoli, ma forse proprio risalendo indietro fino all'Ottocento, 
              Zaira potrà far luce sulla sparizione della nipote. La memoria 
              è fatta di tanti fili, comporli in un ordito chiaro è 
              un lavoro di pazienza, ci sarebbe bisogno di aiuto ma nessuno è 
              disposto davvero a darlo. Allora chi meglio di una scrittrice potrà 
              annodare le trame del ricordo? E' così che Zaira va a cercare 
              la romanziera, che ha altro a cui pensare, tra le montagne d'Abruzzo. 
              Comincia il suo racconto, compone tasselli della sua epopea familiare, 
              ormai è lei stessa il suo personaggio, parla di una poverissima 
              famiglia del Sud, di una siciliana andata in sposa in Abruzzo e 
              madre di Pietr' i pelus', avvocato a Torino, morto soldato sul Carso 
              durante la Prima guerra mondiale. Racconta del figlio clandestino, 
              Pitrucc', frutto dell'amore di Pietr' con una prostituta, emigrato 
              in Australia per sfuggire alla persecuzione fascista. Rivive l'adolescenza 
              difficile di Angelica, le radici del suo dramma, l'Italia turbolenta 
              degli anni Settanta. Non smette di raccontare, Zaira. E' un fiume 
              in piena. E non si stanca di frugare nei boschi 
              insieme al cane Fungo. 
              
              Questo romanzo epico e corale ci accompagna in luoghi e tempi distanti 
              e vicini, misteriosi e quotidiani. Presi per mano come in una fiaba 
              attenta, si sprofonda nel flusso felice della narrazione. Una struttura 
              a cipolla, i cui personaggi e vicende si fanno sfogliare con curiosità 
              e partecipazione. La memoria di chi narra medica qua e là 
              le sue ferite, rimedia i suoi guasti, ritrova le sue motivazioni. 
              Le voci delle due donne dapprima si alternano, si contendono la 
              scena, poi si sovrappongono, una scivola nell'altra. Chi sta intrecciando 
              questa storia di storie lunga un secolo? E dov'è finita Colomba? 
              Inghiottita nei misteri di un bosco? Perchè ha abbandonato 
              veloce la sua bicicletta? 
              Dopo La lunga vita di Marianna Ucrìa, Colomba segna il grande 
              ritorno al romanzo di Dacia Maraini e ai suoi temi prediletti: la 
              trama sottile dei sentimenti, l'attenzione per il mondo femminile 
              e i suoi conflitti, il dolore della storia, e su tutto l'amore incontrastato 
              per gli animali e il paesaggio.  
              Emma 
              Giammattei per Il Mattino 
            All’insegna 
              della contaminazione fra differenti stili linguistico-narrativi, 
              l’ultimo romanzo di Dacia Maraini, Colomba 
              (Rizzoli, pagg. 374, E 17), ricco di parole e di pagine, si presenta 
              come una svolta, o almeno come ricerca in una direzione nuova, all’interno 
              della folta produzione di questa scrittrice molto amata dai suoi 
              lettori, eppure ancora in una zona d’ombra nel panorama della 
              letteratura contemporanea. Si vuol dire che la presenza della Maraini 
              non è stata ancora concettualizzata, in positivo o negativo 
              non importa, dalla critica. In questo romanzo vige l’astuta 
              messa in scena del mondo narrato, con gli ingredienti che oggi il 
              lettore sembra richiedere, tutti rappresentati con senso delle pari 
              opportunità fra i temi affrontati: il «giallo» 
              della scomparsa di una giovane Colomba in un bosco abruzzese; la 
              ricerca-inchiesta che ne esperisce la vecchia ma tenace nonna Zaira, 
              detta Za; e quindi il fronteggiarsi dell’arcaico mondo dell’Abruzzo 
              delle montagne, una regione che a partire dal folklorista De Nino 
              meglio ha custodito la memoria del popolare, con la giungla pervasiva 
              del moderno. La dialettica, profondamente italiana, fra città 
              e campagna in quanto spazi dell’immaginario, si arricchisce 
              della prospettiva storica. Infatti viene ricostruito l’albero 
              genealogico della famiglia di Zaira, che permette il diramarsi delle 
              storie dall’Ottocento fino al fascismo, secondo una bene sperimentata 
              tecnica narrativa di matrice balzacchiana prima che zoliana. La 
              proliferazione dei personaggi permette tutto, una grande libertà 
              della trama che potrebbe amplificarsi all’infinito. Soprattutto, 
              a partire dal nome della fanciulla scomparsa, e dalla metafora del 
              bosco, il romanzo propone una sorta di gotico contemporaneo. Dinanzi 
              alla innegabile sapienza combinatoria della Maraini viene fatto 
              di riflettere che Propp ha vinto, che cioè la sua antica 
              analisi della struttura della favola, ha prodotto una media scrittura 
              narrativa che ne ha inteso ed applicato le regole. Ma il dato più 
              significativo è costituito dalla figura della narratrice 
              che circola e interagisce fra i suoi personaggi, vale a dire la 
              componente metanarrativa che raffredda, ma anche interroga, passo 
              passo, il farsi dell’intreccio. All’inizio il personaggio 
              della scrittrice, definito semplicemente, quasi per cancellazione 
              di tratti più riconoscibili, «la donna dai capelli 
              corti», ci racconta come nasce un romanzo, per necessario 
              imporsi alla sua attenzione di «un personaggio che bussa alla 
              porta», in un incontro che deve, per usare il verbo della 
              Maraini «quagliare». È un approccio alla narrazione 
              che parrebbe di impianto vetero-realista; ma piuttosto rivela un 
              atteggiamento utilitaristico della scrittrice che cerca l’«interessante», 
              e adopera i pezzi di realtà in funzione di altro, appunto 
              di una fabula. L’elemento femminile del romanzo, del resto 
              sottolineato continuamente, consiste appunto nella capacità 
              del personaggio femminile, Zaira, ma anche di tutte le trasmutazioni 
              autobiografiche della scrittrice nei personaggi femminili, di detenere 
              le leggi del Racconto. In questa prospettiva il romanzo affastella 
              il materiale per un romanzo e forse per più d’uno; 
              e la parte maggiormente evocativa per un lettore colto - colto almeno 
              quanto la Maraini - è l’Appendice con il glossario 
              delle espressioni e dei modi di dire nel dialetto abruzzese che 
              scandiscono il testo. Certo è là, in quel codice segreto, 
              la radice del romanzo. Lamentava Carlo Cattaneo, più di un 
              secolo e mezzo fa, che in Italia non si sapeva ancora fare quello 
              che la minima maestrina in pensione inglese sapeva benissimo produrre, 
              cioè «un tollerabil paio di volumi, mescolando non 
              senza garbo quegli otto o dieci caratteri di convenzione e quelle 
              venti o trenta combinazioni d’uso, con cui si può comporre 
              un numero qualunque di romanzi, a un dipresso come con un mazzo 
              di carte o con una scatola di scacchi, si può fare un numero 
              qualunque di partite». Ecco, questa astuta Colomba assicura 
              il critico della avvenuta evoluzione della nostra media civiltà 
              letteraria. E non è poco. 
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