Sarah 
            Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla, coppia molto affiatata nella 
            vita come moglie e marito, lo sono anche nel lavoro che da anni svolgono 
            insieme nel presentare personaggi appartenenti direttamente o indirettamente 
            alla cultura siciliana la cui fama ha travalicato i confini dell’Isola 
            e, spesso, quelli dell’Italia. Sarah possiede capacità 
            esegetica fondata su una seria preparazione critica e scientifica; 
            Enzo la integra con una ricerca esauriente e rigorosa. Le loro numerose 
            pubblicazioni si distinguono inoltre perché corredate da una 
            doviziosa iconografia. 
            È il caso della loro ultima fatica, il prezioso cofanetto, 
            appena edito da Bompiani, dedicato a tutto il teatro di Stefano Pirandello 
            (1895-1972). Oltre all’acuto saggio introduttivo e alla interessante 
            cronologia e documentazione della vita e delle opere, i curatori presentano, 
            all’interno di ciascuno dei tre volumi, una ricca serie di fotografie 
            in cui compare Stefano Pirandello da bambino di un anno (1896) fino 
            alle soglie della sua morte. È come leggere un romanzo, in 
            cui il protagonista è presentato con i suoi familiari e parenti, 
            principalmente con suo padre Luigi, con personalità famose, 
            con amici anonimi, commilitoni e compagni di prigionia, con sua moglie 
            e i suoi figli, tutti mutando inesorabilmente in una comune avventura 
            umana. | 
          
                
              Stefano col padre Luigi 
                Pirandello a Roma nel 1908 
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        Stefano Pirandello si impone per il suo singolare destino, stretto tra 
        due traumi determinanti, la follia della madre e il genio del padre; due 
        follie, in fondo, quella della mente e quella dello spirito. In possesso 
        di una sensibilità quasi umbratile, egli ammirò e subì 
        il fascino del padre, al punto di mutare per molti anni il suo vero cognome 
        in quello fittizio di Landi, una sorta di Mattia Pascal alla ricerca inconfessata 
        della propria identità. Da questo condizionamento egli riesce, 
        tuttavia, a salvare una sua originalità personale ed esclusiva. 
        È l’impressione che ho ricavato leggendo gli scritti dei 
        due curatori e rileggendo le sue opere, dense, gonfie di contenuti a cui 
        la forma teatrale fatica talvolta ad adeguarsi. Da qui, accanto a successi 
        pressoché trionfali, contrasti, proteste, critiche negative alla 
        rappresentazione dei suoi drammi come nel caso della messinscena di Giorgio 
        Strehler di “Sacrilegio massimo” al Piccolo di Milano (18 
        febbraio 1953). Erano ancora i tempi della “civiltà del fischio” 
        che oggi non c’è più, e da cui uscirono anche capolavori. 
        Ho conosciuto e frequentato Stefano Pirandello soprattutto quando, direttore 
        del Teatroguf di Roma, misi in cartellone il suo atto unico “L’uccelliera” 
        rappresentato il 2 giugno del 1942 con la regia di Mario Beltramo, protagonista 
        Giulia Masina – spettacolo integrato da un Quadro di “In questo 
        solo mondo”. In quell’occasione ebbi la possibilità 
        di apprezzare la sua mitezza e il suo pudore, il suo desiderio di nascondersi... 
        e anche la sua sommersa permalosità assai raramente manifesta. 
        Schiacciato dalla personalità dell’amatissimo padre, ne divenne 
        il più stretto confidente e consigliere, tanto da essere eletto 
        unico esecutore testamentario di un prezioso segreto. Luigi Pirandello, 
        infatti, gli rivelò, in punto di morte il sommario del finale inesistente 
        de “I Giganti della Montagna”. Nel suo professato scrupolo 
        di essere stato fedelissimo al dettato del padre, a me è parso 
        che in quel sunto trapeli la sua concettosa originalità, come se 
        nell’ultimo atto sia stato il padre a subire l’influenza del 
        figlio e non più viceversa.
       Turi Vasile 
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